Più di tante biografie sono le opere a parlare di Aldo Brovarone, lo stilista e designer automobilistico scomparso a fine 2020 (per la precisione il 12 ottobre, una settimana dopo la scomparsa della moglie, Martarita) durante un breve ricovero all’Ospedale Molinette di Torino.
Nato a Vigliano Biellese il 24 giugno del 1926, Brovarone era una persona molto nota nel mondo dello stile auto, in cui aveva cominciato a lavorare alla fine della II Guerra Mondiale, dopo il trasferimento in Argentina. Uno stilista “vecchia maniera” che lavorò sempre a mano, senza computer, realizzando un capolavoro dopo l’altro.
Poiché , a quell’epoca non era facile trovare lavoro in Italia, si trasferì a Buenos Aires dove altri parenti lo avevano preceduto.All’inizio lavorò come disegnatore tecnico in una industria di frigoriferi.
Ma la sua passione per le forme avviate e le belle vetture lo portava sovente a mettere su carta le sue idee. Queste piacquero a Piero Dusio che lo volle con se alla AutoAr (Automotores Argentinos).
Finita questa avventura, Dusio tornò in Italia dove provò a risollevare le sorti della Cisitalia ma anche in questo caso senza successo.
Sempre con i suoi disegni Aldo si presento quindi alla corte di Pininfarina dove venne assunto alla fine del 1952 come disegnatore.
Il primo lavoro fu la Maserati A6 GCS berlinetta del 1953; auto che, anche se prodotta in soli quattro esemplari, è considerata dai cultori del marchio “l’auto più bella del centenario Maserati”.
Va ricordato che Brovarone disegnò la linea di questo vettura che avrebbe dovuto essere un nuovo modello di Cisitalia; il progetto, però, non entrò in produzione a causa del dissesto economico dell’azienda. Quando però Battista Farina vide il disegno, lo trovò molto interessante e diede a Brovarone l’incarico di adattare il progetto all’autotelaio Maserati.
Per trentacinque anni in Pininfarina, Brovarone “firmò” moltissimi linee sempre all’avanguardia ma soprattutto eleganti e creò veri e propri capolavori automobilistici.
Successivamente Brovarone ideò diverse sulle vetture che all’epoca erano definite come “dream cars” ma che sovente prefiguravano quelle che sarebbero entrate in produzione.
Esemplare unico fu la Ferrari 375 disegnata per Gianni Agnelli, il suo compito consisteva nel disegnare una Ferrari che….non sembrasse una Ferrari e il risultato gli diede ragione.
Nel frattempo nel 1966, utilizzando uno dei 12 telai tubolari studiati dalla Auto Delta per la TZ2, realizzò la Giulia Sport Tubolare che rimase esemplare unico.
Sempre nel 1966 adattò le forme della “piccola” Dino al ben più voluminoso telaio della Ferrari 365P berlinetta speciale, con motore e posto di guida centrali, realizzata in due soli esemplari, uno per Chinetti, importatore della Ferrari negli USA e il secondo ancora per Gianni Agnelli. Per le sue dimensioni venne ben presto definita dagli “addetti ai lavori” come “ il dinone”.
Nel 1967, vede la luce la Ferrari 365gt 2+2, sua realizzazione di quell’anno e che, grazie ai suoi 4 posti comodi venne utilizzata come vettura di servizio alla 24 ore di Le Mans.
Per cercare di fare “digerire” il concetto di vettura sicura quindi munita di un robusto ma ben mimetizzato Roll Bar, nel 1975 disegna la Eagle, su meccanica Alfa Romeo Alfetta. Vettura che ora fa bella mostra di se al Mueo di Arese.