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DIVORZIO ALL’ITALIANA … ANZI NO, ALLA TORINESE!

Non vi parlerò questa volta di raffinate tecniche di restauro o di storie che sanno più o meno di favola per nostalgici.

Vi racconterò un fatto reale che ho vissuto in prima persona e che cambiò l’Italia automobilistica di fine anni ‘80.

Marzo 1986 vengo assunto in FIAT Auto SPA come venditore di banco nella succursale Lancia di Roma, celebre struttura sulla Via Salaria all’incrocio con l’Olimpica.

Arrivavo da Torino in cui sempre per Fiat Auto avevo, per quasi 4 anni, accompagnato i visitatori negli stabilimenti di Mirafiori, Rivalta, Chivasso, Verrone e in quel rudere del Lingotto all’epoca lasciato completamente all’abbandono.

Era un lavoretto per tirar su quattro Lire che, in quanto studente, mi facevano comodo.

Divento quindi venditore, io che sognavo di fare l’ingegnere. Mi dissero che era una tappa forzata per entrare nella mentalità Fiat. Accettai e via a vendere macchine.

Siamo ai tempi della Panda, della Uno, della Regata, della Croma, della Thema, della Y10, della Delta e della Prisma. Si vendeva di tutto!

In Via Bissolati, dalla parte opposta all’ambasciata americana, Fiat SPA, all’epoca la Holding del gruppo, aveva la sua sede e, al pian terreno, c’era un salone d’esposizione per tutte le vetture del Gruppo.

Molto chic ma del tutto inaccessibile.

Infatti, a poche centinaia di metri c’erano: ELAL la compagnia aerea di bandiera israeliana, Iran Air quella iraniana, girato l’angolo, se non ricordo male, la sede della DIGOS e in fondo il Gran Hotel di Roma meta di tantissime autorità dell’epoca.

Qualunque potenziale cliente che voleva comprare o anche solo vedere una vettura esposta rischiava di essere fermato per controllo documenti.

Insomma, quell’area espositiva era praticamente inutile e solo raramente qualche temerario si affacciava dopo aver parcheggiato chissà dove visto che li, anche fermarsi, era rischiare la vita.

A turno noi venditori della Succursale dovevamo presidiare il salone di Via Bissolati e non vi dico con che entusiasmo…

Gli unici che avevano diritto o meglio “la fortuna” di avvicinarsi e di entrare per farsi pagare il caffè erano gli autisti dei mega direttori di Fiat SPA. Questi poveri Cristi mi raccontavano di essere costretti ad aspettare anche giornate intere senza sapere se magari di li a poco avrebbero o dovuto correre come dannati fino a Torino per accompagnare o per andare prendere qualche mega VIP. 

Novembre 88; mi tocca presidiare via Bissolati. Sono il più giovane dei venditori e sono carne da macello per quei vecchi volponi dei venditori anziani. 

Passo la giornata chiacchierando con il sorvegliante che era sempre presente in salone. Un pezzo di arredamento ormai.

Entra trafelato un autista del piano di sopra e dice: “E’ successo un casino!” 

Prima di raccontarci ne entra un altro e dice al primo “Oh annamo che tocca core a Torino!”

Ne entra un terzo, e dice “fermi rega, aspettamo e vedemo che succede”.

Riusciamo a mala pena, il sorvegliante ed io, a capire cos’è successo.

Finalmente io primo autista ci spiega iniziando con un “a momenti se menano”.

“Ma chi?” chiedo io. 

Romiti e Ghidella mi risponde. 

Sgrano gli occhi. Non potevo immaginare che fosse possibile una situazione del genere nel mondo Fiat in cui tutto era discrezione, eleganza e diciamolo: pure ipocrisia.

Il sorvegliante mi guarda ed esclama “Minchia!” 

Entra un altro autista e dice agli altri “oh me raccomanno nessuno deve sapè niente”

Ma era troppo tardi, le cronache raccontano dopo poche ore il tonfo in borsa del titolo Fiat.

Iniziava, e questo è il mio personalissimo parere, il declino di FIAT. 

Alla guida c’era un uomo di prodotto Vittorio Ghidella, schivo, riservato che ripeteva spesso che le auto si sentono con il culo e non con le parole. Era il papà di innumerevoli grandi successi del marchio Torinese.

Quel giorno l’Avvocato aveva deciso; l’uomo della finanza al posto dell’uomo di prodotto.

Chissà se fosse stato il contrario. La trattativa con Ford che si stava comprando l’Alfa Romeo, i giapponesi che erano alle porte, i Tedeschi che erano sempre più minacciosi con le loro nuove tecnologie (4×4). Insomma, il buon Ghidella ne avrebbe avute di sfide da disputare.

Se ne andò, non so se in punta di piedi, ma sicuramente qualcosa accadde e gli autisti videro la scena. 

Andò a dirigere un gruppo produttore di componentistica per FIAT in cui si dice avesse delle quote e ovviamente giù illazioni e dubbi sul suo operato in Fiat.

La sua esistenza venne costellata da tragedie familiari quali la morte della figlia e poi della moglie, credo. Se ne andò con discrezione da questo mondo nella sua casa in Svizzera. 

Lui e Valletta fecero la Fiat, altri la smontarono. 

Ciao, Ghidella ing. Vittorio, come c’era scritto sul suo cartellino di presenza nell’autorimessa sotto la palazzina uffici di Mirafiori.